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UN LAVORO SENZA DIO …

La nascita e l’affermarsi dell’Unione Europea e del suo mercato sulla scacchiera dell’economia mondiale ha determinato un aumento d’interesse nei confronti di tutti quei paesi del mondo che nel frattempo vivono una situazione economica di crisi che non permette di sperare nel futuro.  [1]

Alle popolazioni di questi paesi non rimane altro che migrare alla ricerca di un lavoro e di una piena realizzazione umana.

Accanto all’epocale migrazione verso il benessere si assiste al contemporaneo allargamento, verso Est, dei paesi membri dell’Unione Europea.

«Questi nuovi cittadini portano con sé rivendicazioni di uguaglianza, chiedono alla società nella quale vogliono inserirsi di condividerne ricchezza e aspettative di vita più lunghe, domandano il rispetto delle loro tradizioni e della loro cultura»[2].

Se a queste considerazioni si aggiunge anche quella relativa alla neovascolarizzazione informatica dei mezzi di comunicazione di massa con la nascita e il consolidarsi di una società multiculturale nata in rete si comprende come  il tessuto omogeneo con cui in passato venivano identificati gli Stati del vecchio continente ha ormai perso gran parte del suo valore originario.

Un problematico momento di frizione scaturente dalla convivenza tra questi  “stranieri morali” è rinvenibile nell’attrito tra i diversi “ fattori religiosi”.

In una società globalizzata in cui si parla continuamente di integrazione economica, politica e giuridica le confessioni religiose recuperano il ruolo di simboli di una identità dimenticata. Si assiste così al c.d. ritorno del religioso o forse al risveglio del proprio sentire religioso in rapporto ad un sentire diverso avvertito simbolicamente e concretamente come minaccia alla propria identità.

L’esercizio interiore e pubblico del sentire religioso si manifesta attraverso «…l’atto di culto visto come necessario elemento di appartenenza, come mezzo per raggiungere la felicità ridivenuta sempre meno privata, sempre più cercata nel gruppo (non ultimo l’ambiente di lavoro), anche se a tratti in stridente contrasto con la qualifica di cittadino che il fedele riveste necessariamente come “attore sociale”»[3].

In questo nuovo terreno multietnico e multiculturale il diritto preesistente trova delle difficoltà a ritrovare se stesso e la sua originaria funzione sintetizzabile nel celebre brocardo ne cives ad arma veniant.

Questa condizione di inadeguatezza delle regole si avverte in modo pressante e quotidiano nel mondo del lavoro alla luce del fatto che nei luoghi di lavoro si trascorre gran parte del tempo attivo della giornata.

La griglia di norme giuslavoristiche, infatti, non è permeabile alle sempre più pressanti rivendicazioni legate alle confessioni religiose dei dipendenti.

Tali esigenze non hanno ancora trovato un’organica risposta da parte del legislatore e delle istituzioni che sembrano proiettate a rispondere a tali problematiche in modo puntiforme ed emergenziale.

«Da qui la necessità di uno strumento più agile, capace di conseguire una tutela efficace dell’individuo quale la trattativa e l’accordo sindacale, utilizzando anche, come leva, l’art. 8 dello Statuto dei lavoratori. Perciò lo strumento della contrattazione collettiva diviene sempre più centrale al fine di tutelare le esigenze costituzionalmente protette e i vari interessi in gioco»[4].

Ancora una volta il mondo del lavoro rappresenta il terreno di coltura di una nuova spinta al cambiamento teso alla sensibilizzazione del fattore religioso. Queste istanze, in particolare quelle provenienti delle realtà più difficili, hanno bisogno di uno sbocco “normativo”. Non offrire delle risposte concrete significherebbe abbandonare alla legge di natura (dove il più forte vince sul più debole) la soddisfazione di un diritto costituzionalmente garantito.

 

Un lavoro senza Dio non è un lavoro umano.

LEO STILO


[1] Le riflessioni contenute nel presente scritto sono nate dalla lettura di un pregevole saggio di Antonello De Oto dal titolo Precetti religiosi e mondo del Lavoro edito da Ediesse nel mese di gennaio (2007). In 195 pagine l’Autore sintetizza, in un quadro organico ed estremamente lucido, gli aspetti complessi e problematici di uno dei più rilevanti punti di frizione della nostra società.

[2] A. De Oto, op. cit., 14

[3] A. De Oto, op. cit., 18

[4] A. De Oto, op. cit., 166

 

***Un lavoro senza Dio